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A
spasso per gli hutong
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6
marzo 2007 - l'appuntamento è alle 9.30 in Ambasciata,
per tutte le donne italpechinesi che desiderano scoprire la
Pechino più cinese, quella fatta ancora di stradine strette,
edifici a pochi piani, percorsa da biciclette, da gente comune
che vive in piccole casupole che nulla hanno a che vedere con
i quartieri ricchi, abitati da uomini d'affari e segmentati
da larghe strade supertrafficate.
Paola, la nostra guida, oltre a preparare con cura l'itinerario,
ieri sera è venuta a fare un'ultima perlustrazione orientativa,
ligia al dovere fino all'ultimo minuto.
La giornata ci sorride: dopo alcuni giorni di freddo e vento
gelido, oggi splende il sole, il cielo è azzurro, punteggiato
qua e là da qualche candida nuvoletta; fa freddo, ma
non è insopportabile. E nel punto più a sud di
Nanluoguxiang - uno degli hutong la cui popolarità tra
gli stranieri è aumentata in modo esponenziale negli
ultimi due anni grazie all'apparizione di svariati caffè
e ristorantini, oltre che alla presenza di un ostello molto
frequentato - comincia la gita. Notiamo la nuova pavimentazione
di Nanluoguxiang: fino a luglio era come tutti gli altri hutong,
sporco, pieno di polvere che si alzava a ogni minimo soffio
di vento. Ora è più bello, è più
pulito, più piacevole per una passeggiata, ma, secondo
me, è anche molto meno vero.
Serpeggiando tra gli hutong notiamo piccoli dettagli architettonici,
dalle rifiniture dei tetti delle case agli indicatori dello
status sociale di chi abitava i singoli cortili tradizionali,
dai disegni sulle travi alle lastre che indicano quali sono
gli edifici protetti.
Ci infiliamo in alcuni cortili, in alcuni passiamo inosservate,
in altri veniamo insultate - giustamente - per esserci introdotte
in proprietà private, in uno addirittura veniamo invitate
a entrare da un cinese che se ne sta uscendo e che ci comunica
fiero che nel suo cortile abitano un francese e anche un cinese
che "parla straniero". Sicuramente parlerà
inglese, ma perché tutti si ostinano a supporre che solo
perché siamo occidentali dobbiamo per forza essere americani
o comunque parlare inglese?
Tutto attorno a noi i tipici elementi della vita degli hutong:
la biancheria stesa, i mantou lasciati a lievitare al sole,
scaffali pieni di carbone per alimentare le stufe delle case,
prive di altre forme di riscaldamento, mobili e sedie "abbandonati"
all'aperto, carretti, scope e stracci, fili della corrente sospesi
nell'aria a formare artistici intrecci, bagni pubblici che tanto
pubblici non sono, visto che nella maggioranza delle case non
ci sono servizi igienici.
Entriamo nell'ex residenza di un famoso scrittore cinese, Mao
Dun, dove possiamo avere un'idea un po' più precisa di
come fosse organizzata un'intera casa, con le varie stanze disposte
attorno al cortile centrale. Negli altri cortili, in mezzo al
caos, non si riesce più a capire quale fosse in passato
il reale aspetto di queste case: un tempo erano abitate da un'unica
grande famiglia, varie generazioni attorno a un unico cortile,
ora sono invece suddivise tra più famiglie, che quindi
condividono tutti gli spazi esterni.
Continuiamo la passeggiata verso il Gulou, la Torre del Tamburo,
che non visitiamo perché vogliamo vedere un tempio che
è difficile riconoscere per quello che era ai suoi tempi
d'oro. Vediamo il portone, indiscutibilmente l'entrata di un
tempio, ma è stato trasformato in un mercato con annessa
sala biliardo. Circumnavighiamo il perimetro e ne vediamo un
altro pezzo, inglobato dalle casupole circostanti. E infine
riusciamo a entrare nel cantiere di quella che sarà una
galleria d'arte - o così sostiene il guardiano. Stanno
ristrutturando una buona parte del tempio, quella posteriore,
per fortuna! non andrà tutto perduto! Grazie a successive
ricerche ho scoperto che questo tempio si chiama Hong En Guan,
ma è noto tra la popolazione come Niang Niang Miao. Risale
al periodi Ming, è stato ricostruito nel periodo Guangxu
(1875 - 1908), utilizzato poi come residenza per anziani eunuchi.
La zona occidentale ha anche ospitato per un periodo la residenza
del suocero di Mao.
Cominciano a farsi sentire i morsi della fame: tutte in taxi
verso Guozijian Jie, dove di fronte al Tempio di Confucio si
trova un ristorante vegetariano con un buffet di tutto rispetto,
e soprattutto privo di rischi, visto che si vede quello che
si mangerà!
Dopo pranzo segue la visita al Tempio di Confucio e all'Accademia
Imperiale; come molte altre persone penso che i lavori di restauro
diffusi in tutta la città in vista delle Olimpiadi spesso
rovinino quello che di bello c'è in giro, un esempio
sono i colori sgargianti e assolutamente innaturali di tutti
gli edifici già restaurati che vediamo attorno a noi.
Il parco però non potrà che giovare della fine
dei lavori, e tornerà probabilmente a essere un luogo
poco turistico ma molto amato dagli studenti, che tradizionalmente
si sono sempre rifugiati qui a studiare, immersi nella quiete.
E come i 10 piccoli indiani, anche noi siamo sempre di meno,
già prima di pranzo abbiamo cominciato a perdere qualche
partecipante, rimaniamo in tre a fare un giro dietro al Tempio
dei Lama, dove Paola ha scoperto un monastero di cui però
possiamo ammirare solo il perimetro esterno, dato che è
vietato l'accesso agli estranei, e questo malgrado ci sia, tra
le tante aziende elencate all'entrata, anche un museo. Dev'essere
un museo estremamente riservato!
La nostra gita è terminata, ma in città rimangono
ancora moltissimi hutong da scoprire, angoli di Cina da visitare
non solo per quello che resta dell'architettura tipica, che
rischia di scomparire malgrado gli pseudo-tentativi di proteggerla,
ma anche e soprattutto per vedere una faccia diversa di questa
città: quella degli anziani seduti per strada sulle loro
seggioline a prendere il sole, degli ambulanti che raccolgono
rifiuti di ogni tipo, dei minuscoli negozietti in cui si può
trovare di tutto, delle botteghe che vendono le semplici specialità
pechinesi, dei bambini che scorazzano in mezzo alla strada e
vengono accuditi da tutti, delle verdure stese ad asciugare
sui fili della biancheria o a seccare sui tetti e soprattutto
della cordialità di sconosciuti che ti invitano a casa
loro a bere il the semplicemente perché hanno voglia
di fare due chiacchiere, sempre che li si riesca a capire.
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