Dopo
il viaggio nella terra degli uiguri, in quelle terre aride
ma ricche di diversità culturali in cui i pensieri
indipendentisti della minoranza musulmana la fanno da padrone,
Paolo mi convince ad accompagnarlo in un'altra avventura,
meno pericolosa perché non saremo al centro di possibili
attentati, ma non meno ricca di emozioni e di dolore.
Un'altra levataccia, ci aspetta un aereo che ci porta a Chengdu,
capitale del Sichuan, la regione che il 12 maggio è
stata squassata dal più forte terremoto in Cina degli
ultimi 30 anni (magnitudo 7,9 della scala Richter). Un terremoto
che ha causato almeno 80 mila vittime e più di 5 milioni
di senzatetto.
Arriviamo all'aeroporto di Chengdu, città famosa per
la riserva dei panda; qui ci attende Meng, la nostra autista,
per accompagnarci lungo i quasi 200 km di statale che ci porteranno
vicino a Beichuan, una delle zone più colpite dalla
tragedia, che è stata aperta 3 giorni fa, il centesimo
giorno dal terremoto (ma ci si può accedere solo con
un permesso speciale).
"Usiamo lo spirito olimpico per sollevarci dalla catastrofe"
- è uno dei tanti striscioni rossi appesi sui ponti
della strada che percorriamo. Mi chiedo se qualcuno li legge
davvero, e con quale spirito. Sono lì per fare coraggio
a chi è stato colpito, per incitare i soccorritori,
oppure per mettere a tacere le coscienze di chi è concentrato
sul successo delle Olimpiadi nella capitale?
Più ci avviciniamo all'area colpita, più ci
rendiamo conto che le affermazioni ottimistiche del governo
centrale sono più speranze che realtà. La strada
è rovinata, interrotta qua e là da buche più
o meno grandi, da accumuli di sassi caduti dalle pareti di
rocce circostanti, testimonianza che la terra continua a tremare
anche a più di tre mesi dal sisma. Siamo a Mianyang,
avanziamo tra due file di baraccopoli, case in rovina, cumuli
di macerie, altri slogan, "Risolleveremo la schiena di
Beichuan che non ha mai ceduto e creeremo un futuro migliore",
"Non perdiamo la speranza!", colonne di camion e
campi militari, in stridente contrasto con le notizie ufficiali
che ne proclamavano l'assenza per aver terminato il loro intervento.
Andiamo avanti, e vediamo da vicino la miseria, siamo ancora
ad Anxian, a 30 km da Beichuan, eppure già qui vediamo
tende di fortuna erette ai bordi della strada, anziani che
camminano curvi sotto le gerle piene di mattoni, bambini che
vagano alla ricerca di qualcosa che possa aiutare la propria
famiglia nella ricostruzione delle case perdute. Se alziamo
lo sguardo, vediamo un paesaggio da fiaba, montagne, colline
verdeggianti, solo a uno sguardo attento si notano in lontananza
gli squarci provocati dalle frane, le macerie.
Sembra
altamente improbabile che tutti coloro che hanno perso la
propria casa possano trovare rifugio in una nuova abitazione
entro il dicembre del 2009, come promesso dal governo. Tutto
è ancora distrutto, quasi abbandonato. I responsabili
di una parte della tragedia, coloro che hanno risparmiato
sui materiali da costruzione di vari edifici crollati, tra
cui molte scuole, sono stati puniti. Con una multa. E che
dire delle coscienze di coloro che hanno costruito la diga
che, si mormora, potrebbe essere stata la causa del terremoto?
Ci fermiamo e veniamo accolti da Zhang nella sua baracca,
che divide con l'intera famiglia, tra cui la nuora, incinta.
Superate le difficoltà linguistiche - il dialetto locale
è quasi incomprensibili, per fortuna la nostra fidata
autista mi fa anche da supporto linguistico traducendo in
cinese standard le risposte alle nostre domande - ci racconta
la sua disperazione: è un contadino, ha perso tutto,
non può nemmeno lavorare la terra, perché non
ci sono superfici pianeggianti da trasformare in campi. Eppure
ci offre le sue sigarette, ci vuole regalare l'accendino perché
in aeroporto hanno requisito quello di Paolo. La baracca in
cui vive l'ha tirata su lui, con l'aiuto della sua famiglia,
testimonianza della verità di un altro slogan letto
pochi minuti prima "Agiamo da soli! Il governo dà
il suo supporto!". Ricorda il giorno della tragedia,
tremava tutto, crollava tutto, i primi aiuti sono arrivati
subito, la sera stessa. Ogni famiglia riceve ogni mese dal
governo aiuti quantificabili in 15 kg di riso e 300 rmb, poco
più di 30 euro. Prima di andarmene vado in "bagno",
mi indicano dove andare, un buco per terra, con un muricciolo
che mi separa da un'enorme scrofa e dai suoi piccoli.
Ci
dirigiamo verso un'altra baraccopoli, da lontano vedo solo
due file di baracche ai due lati della strada, solo da vicino
mi rendo conto che malgrado la somiglianza, quelle di sinistra
sono abitate da animali, quelle di destra no, sono "case",
con qualche suppellettile, qualche tappeto colorato. Ci accoglie
Deng, 26 anni, che ci invita ad accomodarci; fa il meccanico,
per cui le cose non vanno tanto male, riesce a lavorare ogni
tanto, anche se la casa in cui viveva in affitto a Beichuan
non esiste più. No, nessuno della sua famiglia ristretta
ha perso la vita, ma conoscenti, parenti, sì. Mi si
riempiono gli occhi di lacrime.
Tutti
lavorano: troviamo il granturco a seccare sull'asfalto, persone
che cercano di ricostruire, altri che si industriano vendendo
generi di prima necessità in negozietti di fortuna,
come la Signora Zhou, che dopo le prime battute sulle Olimpiadi
e su quanto sia forte la Cina, con tutte quelle medaglie,
ammette quello che pochi hanno il coraggio di dire: non ce
ne frega niente delle Olimpiadi, abbiamo altro a cui pensare,
altro che "Lo spirito olimpico, lo spirito cinese, lo
spirito di Beichuan!". Poi ricorda l'esatto momento in
cui il sisma ha colpito: Ero per strada, con in braccio il
bambino, che aveva solo 50 giorni, ero completamente paralizzata.
Alla nostra domanda se costruiranno case per tutti, come sembrano
promettere, ribatte amaramente: Ma se non ci considerano nemmeno!
E no, non osiamo pensare all'inverno, un giorno alla volta.
Perché stiamo qua, ai bordi della strada, in queste
tende di fortuna invece di andare nei container messi a disposizioni?
Perché sono un inferno, umidi, invivibili. Gli aiuti
ci sono, ma non sono sufficienti. Sono previsti prestiti finalizzati
alla ricostruzione, ma chi ne ha davvero bisogno è
troppo povero per poterli poi restituire.
Tornando in aeroporto, la strada fiancheggiata dagli enormi
cartelloni riportanti le mascotte olimpiche, pensiamo che
le scosse che ancora colpiscono la regione (l'ultima la notte
scorsa) non permettono a chi abita qui di dimenticare, mentre
Pechino, con il suo tripudio di luci e di colori, di festeggiamenti,
di gare olimpiche e di feste, non è forse mai sembrata
così lontana.
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