CRISTINA TABBIA

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Olimpiadi dimenticate tra le macerie (21 agosto 2008)

Dopo il viaggio nella terra degli uiguri, in quelle terre aride ma ricche di diversità culturali in cui i pensieri indipendentisti della minoranza musulmana la fanno da padrone, Paolo mi convince ad accompagnarlo in un'altra avventura, meno pericolosa perché non saremo al centro di possibili attentati, ma non meno ricca di emozioni e di dolore.
Un'altra levataccia, ci aspetta un aereo che ci porta a Chengdu, capitale del Sichuan, la regione che il 12 maggio è stata squassata dal più forte terremoto in Cina degli ultimi 30 anni (magnitudo 7,9 della scala Richter). Un terremoto che ha causato almeno 80 mila vittime e più di 5 milioni di senzatetto.
Arriviamo all'aeroporto di Chengdu, città famosa per la riserva dei panda; qui ci attende Meng, la nostra autista, per accompagnarci lungo i quasi 200 km di statale che ci porteranno vicino a Beichuan, una delle zone più colpite dalla tragedia, che è stata aperta 3 giorni fa, il centesimo giorno dal terremoto (ma ci si può accedere solo con un permesso speciale).
"Usiamo lo spirito olimpico per sollevarci dalla catastrofe" - è uno dei tanti striscioni rossi appesi sui ponti della strada che percorriamo. Mi chiedo se qualcuno li legge davvero, e con quale spirito. Sono lì per fare coraggio a chi è stato colpito, per incitare i soccorritori, oppure per mettere a tacere le coscienze di chi è concentrato sul successo delle Olimpiadi nella capitale?
Più ci avviciniamo all'area colpita, più ci rendiamo conto che le affermazioni ottimistiche del governo centrale sono più speranze che realtà. La strada è rovinata, interrotta qua e là da buche più o meno grandi, da accumuli di sassi caduti dalle pareti di rocce circostanti, testimonianza che la terra continua a tremare anche a più di tre mesi dal sisma. Siamo a Mianyang, avanziamo tra due file di baraccopoli, case in rovina, cumuli di macerie, altri slogan, "Risolleveremo la schiena di Beichuan che non ha mai ceduto e creeremo un futuro migliore", "Non perdiamo la speranza!", colonne di camion e campi militari, in stridente contrasto con le notizie ufficiali che ne proclamavano l'assenza per aver terminato il loro intervento.
Andiamo avanti, e vediamo da vicino la miseria, siamo ancora ad Anxian, a 30 km da Beichuan, eppure già qui vediamo tende di fortuna erette ai bordi della strada, anziani che camminano curvi sotto le gerle piene di mattoni, bambini che vagano alla ricerca di qualcosa che possa aiutare la propria famiglia nella ricostruzione delle case perdute. Se alziamo lo sguardo, vediamo un paesaggio da fiaba, montagne, colline verdeggianti, solo a uno sguardo attento si notano in lontananza gli squarci provocati dalle frane, le macerie.
Sembra altamente improbabile che tutti coloro che hanno perso la propria casa possano trovare rifugio in una nuova abitazione entro il dicembre del 2009, come promesso dal governo. Tutto è ancora distrutto, quasi abbandonato. I responsabili di una parte della tragedia, coloro che hanno risparmiato sui materiali da costruzione di vari edifici crollati, tra cui molte scuole, sono stati puniti. Con una multa. E che dire delle coscienze di coloro che hanno costruito la diga che, si mormora, potrebbe essere stata la causa del terremoto?
Ci fermiamo e veniamo accolti da Zhang nella sua baracca, che divide con l'intera famiglia, tra cui la nuora, incinta. Superate le difficoltà linguistiche - il dialetto locale è quasi incomprensibili, per fortuna la nostra fidata autista mi fa anche da supporto linguistico traducendo in cinese standard le risposte alle nostre domande - ci racconta la sua disperazione: è un contadino, ha perso tutto, non può nemmeno lavorare la terra, perché non ci sono superfici pianeggianti da trasformare in campi. Eppure ci offre le sue sigarette, ci vuole regalare l'accendino perché in aeroporto hanno requisito quello di Paolo. La baracca in cui vive l'ha tirata su lui, con l'aiuto della sua famiglia, testimonianza della verità di un altro slogan letto pochi minuti prima "Agiamo da soli! Il governo dà il suo supporto!". Ricorda il giorno della tragedia, tremava tutto, crollava tutto, i primi aiuti sono arrivati subito, la sera stessa. Ogni famiglia riceve ogni mese dal governo aiuti quantificabili in 15 kg di riso e 300 rmb, poco più di 30 euro. Prima di andarmene vado in "bagno", mi indicano dove andare, un buco per terra, con un muricciolo che mi separa da un'enorme scrofa e dai suoi piccoli.
Ci dirigiamo verso un'altra baraccopoli, da lontano vedo solo due file di baracche ai due lati della strada, solo da vicino mi rendo conto che malgrado la somiglianza, quelle di sinistra sono abitate da animali, quelle di destra no, sono "case", con qualche suppellettile, qualche tappeto colorato. Ci accoglie Deng, 26 anni, che ci invita ad accomodarci; fa il meccanico, per cui le cose non vanno tanto male, riesce a lavorare ogni tanto, anche se la casa in cui viveva in affitto a Beichuan non esiste più. No, nessuno della sua famiglia ristretta ha perso la vita, ma conoscenti, parenti, sì. Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Tutti lavorano: troviamo il granturco a seccare sull'asfalto, persone che cercano di ricostruire, altri che si industriano vendendo generi di prima necessità in negozietti di fortuna, come la Signora Zhou, che dopo le prime battute sulle Olimpiadi e su quanto sia forte la Cina, con tutte quelle medaglie, ammette quello che pochi hanno il coraggio di dire: non ce ne frega niente delle Olimpiadi, abbiamo altro a cui pensare, altro che "Lo spirito olimpico, lo spirito cinese, lo spirito di Beichuan!". Poi ricorda l'esatto momento in cui il sisma ha colpito: Ero per strada, con in braccio il bambino, che aveva solo 50 giorni, ero completamente paralizzata. Alla nostra domanda se costruiranno case per tutti, come sembrano promettere, ribatte amaramente: Ma se non ci considerano nemmeno! E no, non osiamo pensare all'inverno, un giorno alla volta. Perché stiamo qua, ai bordi della strada, in queste tende di fortuna invece di andare nei container messi a disposizioni? Perché sono un inferno, umidi, invivibili. Gli aiuti ci sono, ma non sono sufficienti. Sono previsti prestiti finalizzati alla ricostruzione, ma chi ne ha davvero bisogno è troppo povero per poterli poi restituire.
Tornando in aeroporto, la strada fiancheggiata dagli enormi cartelloni riportanti le mascotte olimpiche, pensiamo che le scosse che ancora colpiscono la regione (l'ultima la notte scorsa) non permettono a chi abita qui di dimenticare, mentre Pechino, con il suo tripudio di luci e di colori, di festeggiamenti, di gare olimpiche e di feste, non è forse mai sembrata così lontana.





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