(articolo
pubblicato su "Il Foglio", Quaderno della Biblioteca
Comunale di Cucciago, no 64 - aprile 2007)
Chi
mi ha "commissionato" questo articolo aveva pensato
al titolo "Una farfalla a Pechino", mettendomi non
poco in difficoltà: sono qui da un anno e mezzo e non
ricordo di aver mai visto una farfalla in città, certo,
ne ho viste all'interno di meravigliosi parchi alla periferia
di questa enorme metropoli, ma non qui, in centro. E allora
mi sono chiesta, leggermente perplessa, ma la primavera cittadina
come la si riconosce?
Ho avuto la risposta pochi giorni fa con Chunjie, la Festa
di Primavera, è così che si chiama il Capodanno
cinese, una ricorrenza che varia ogni anno (tra metà
gennaio e metà febbraio) poiché si basa sul
calendario lunare. Forse molti di voi sapranno che lo zodiaco
cinese, pur essendo composto di dodici segni come il nostro,
prevede una divisione annuale dei segni, mentre quello occidentale
segue un andamento mensile. E il 2007 è l'anno del
maiale, che dovrebbe portare ricchezza, in particolare a tutti
coloro nati sotto questo segno.
Tornando al Capodanno, questi per me sono stati i primi festeggiamenti
su suolo cinese, la prima volta che ho potuto vivere davvero
questa festa insieme a chi la sente come parte della propria
cultura, delle proprie tradizioni. Dunque, nella notte tra
il 17 e il 18 febbraio è cominciato il nuovo anno,
salutato da botti e fuochi d'artificio cominciati ben prima
del 17 e che hanno continuato a farmi sentire sotto assedio
per svariati giorni, anche se l'apoteosi è ovviamente
stata la sera, la notte del 17.
Ma l'apoteosi della festa per me non è stato il benvenuto
all'anno nuovo, non sono stati i fuochi d'artificio, il caos
festoso che si respirava per strada insieme all'odore della
polvere da sparo, le grida dei bambini felici di poter far
scoppiare i petardi e la felicità rumorosa degli adulti
che fanno di tutto per godersi appieno la festa, visto che
qualunque tipo di botto o fuoco d'artificio era vietato all'interno
della città fino a soli due anni fa.
No, per me l'apoteosi della festa è stata la possibilità
di viverla dall'interno, nel cuore di una famiglia cinese
che mi ha accolto come se fosse la cosa più naturale
del mondo.
Nel lontano 1999 mi trovavo a Taiwan e ho conosciuto un vero
"personaggio" cinese. Perché lo definisco
tale? Perché da una parte incarna la cultura tradizionale
di questo paese, è un profondo conoscitore della filosofia
tradizionale, dei testi antichi di taoismo e di divinazione,
e vuole che la tradizione venga preservata e fatta conoscere
fuori e dentro la Cina, ma allo stesso tempo è spinto
anche dallo spirito democratico che anni fa ha portato gli
studenti cinesi a opporsi al governo in quello che è
passato alla storia come il massacro di Piazza Tiananmen.
Insomma, questa premessa per dire che pochi giorni prima del
Capodanno ricevo una telefonata proprio da questo personaggio,
che non vedevo da quasi otto anni e che mi invita a passare
Chunjie con lui e la sua famiglia. Eravamo in otto, eppure
mi ha invitato. Come se noi invitassimo un quasi estraneo
a passare con noi il Natale, la festa di famiglia per eccellenza.
Ecco cos'è Chunjie, festa della primavera e insieme
festa della famiglia. È stato bello essere accolta
come se fosse naturalissimo che io fossi lì, tutti
che cercavano di farmi sentire a casa, c'era una vecchietta
che ho subito soprannominato nonnina dentro di me perché
mi ha subito "adottata", mi accarezzava i capelli,
mi sorrideva, mi faceva mille domande sulle nostre abitudini,
su tutto quello che probabilmente le appare così estraneo,
e si vedeva che era felice di poter finalmente parlare direttamente
con qualcuno che poteva farle da ponte verso un mondo così
diverso e lontano.
Com'è stata la festa in sé? Tranquilla, chiacchiere
più o meno profonde seduti sul divano, tentativi di
riassumere in un'ora otto anni di vita, e, come in tutte le
famiglie cinesi che si rispettano, televisione accesa per
guardare la trasmissione di Capodanno, canti, balli, sketch
teatrali, costumi tradizionali bellissimi e vestiti pseudo-eleganti
usciti dalla fiera del kitsch, tipici apprezzamenti o critiche
che si sentirebbero in un qualsiasi salotto in cui ci si riunisca
a guardare la tv. Commenti sui fuochi d'artificio che si intravedevano
dalle finestre del diciassettesimo piano, sembrava fosse scoppiata
la terza guerra mondiale.
Poi la cena, nulla a che vedere con i nostri cenoni, atmosfera
molto meno solenne, mancava una sedia, quindi una persona
si è seduta sul divano, ci si alzava a prendere il
riso, si assaggiavano le varie pietanze, specialità
di svariate regioni della Cina sparse su tutta la superficie
di un tavolo normalissimo, non addobbato a festa, piatti da
cui ognuno si serviva con le proprie bacchette e, dato che
ero ospite, c'era chi continuava a servirmi bocconcini prelibati,
perché è un segno di affetto e di rispetto riempire
il piatto (anzi, la ciotola) altrui. Ed è un segno
di amicizia voler continuare a brindare, il marito della "nonnina"
aveva deciso che dovevamo diventare amici e che il modo migliore
era costringermi a bere a intervalli regolari. Peccato che
la bevanda in questione fosse grappa cinese torcibudella!
Per fortuna sono riuscita a farmi versare una sola porzione
e a centellinarla per tutta la durata della cena chiamando
in causa la mia mancanza di abitudine a bere. E per fortuna
dopo cena c'era il tè, preparato secondo il rituale
tradizionale che vuole che la prima teiera si getti perché
le foglie non sono ancora riuscite a dare il meglio di sé.
"Questo tè è più vecchio di te",
mi hanno detto, infatti, aveva 40 anni.
La soddisfazione più grande della serata? Essere riuscita
a sopravvivere a svariate ore di conversazione che hanno coinvolto
i più svariati argomenti senza quasi mai fare ricorso
all'inglese. Anche se devo ammettere che ho avuto delle difficoltà
notevoli quando hanno cominciato a chiedermi se in Italia
abbiamo tutte le cose che stavamo mangiando e non contenti
della mia risposta (Sì, le abbiamo più o meno
tutte, è il modo in cui cuciniamo le varie cose che
cambia) ho dovuto spiegare come si cucina il risotto.
E ora? La primavera non è ancora arrivata, le prime
avvisaglie non saranno i fiori che sbocciano nei parchi, non
saranno le rondini, che qui a Pechino non ho mai visto, no,
sarà il 16 marzo, quando i termosifoni di tutta la
città verranno spenti. Da un giorno all'altro si passerà
dal caldo attuale - è febbraio e io sono in casa in
maniche corte, spesso con la finestra aperta perché
il riscaldamento è eccessivo - al gelo che mi costringerà
a indossare due maglioni e due paia di calzini di lana. Il
secondo segno saranno, in aprile, le tempeste di sabbia, con
il forte vento che porta in città la sabbia del deserto;
l'anno scorso nel giro di un paio di settimane la città
è stata letteralmente sommersa da 330 mila tonnellate
di sabbia. Un paesaggio surreale, uscire di casa la mattina
e trovare tutto ricoperto da uno strato rossastro, come se
avesse nevicato rosso. Ma poi, dall'inizio di maggio, il mese
più bello: sole, cielo azzurro, che altrimenti raramente
fa capolino da dietro alle nuvole grigie di smog, piacevoli
serate da trascorrere sulla riva del lago o sulle terrazze
dei bar a pochi passi dai vicoli tradizionali.
Una primavera davvero variegata quella di Pechino: dai festeggiamenti
invernali alla violenza dei venti in aprile fino al piacevole
clima quasi estivo di maggio, da godere appieno prima che
l'afa si abbatta sulla città.
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